Wynne Godley : Euro Cronaca di un fallimento annunciato

Da: https://keynesblog.com l'articolo (originale: Maastricht and All That) di Wynne Godley, economista britannico Post Keynesiano e collaboratore del Tesoro del Regno Unito, individua i problemi nella costruzione dell’Unione Monetaria a partire dal Trattato di Maastricht. In particolare sottolinea come il Trattato sottintendesse un’impostazione ideologica per la quale gli Stati non devono occuparsi di politica economica e tutto ciò che è richiesto per far funzionare il sistema è una banca centrale, indipendente dalla politica, che si occupi di controllare l’inflazione. L’assenza di un Tesoro federale con un debito pubblico monetizzabile, di un fisco e di un welfare federali, di “stabilizzatori automatici” e trasferimenti tra regioni, porterà inevitabilmente alla rottura dell’Unione monetaria, appena uno dei suoi membri si trovasse in forti difficoltà per qualsiasi motivo. Insomma, quella che segue è la cronaca di un fallimento annunciato.

 

Molte persone in tutta Europa si sono improvvisamente rese conto che non sanno quasi nulla del Trattato di Maastricht mentre giustamente avvertono che potrebbe fare una grande differenza nella loro vita. La loro legittima ansia ha indotto Jacques Delors a fare una dichiarazione secondo la quale le opinioni della gente comune dovrebbero in futuro essere più ascoltate. Avrebbe potuto pensarci prima.

Anche se ho sostenuto il passaggio verso l’integrazione politica in Europa, credo che le proposte di Maastricht così come sono presentano gravi carenze e anche che la discussione pubblica su di esse sia stata curiosamente impoverita. […]

L’idea centrale del trattato di Maastricht è che i paesi della Comunità europea devono muoversi verso l’unione economica e monetaria, con una moneta unica gestita da una banca centrale indipendente. Ma che cosa rimane della politica economica? Dato che il trattato non propone nuove istituzioni diverse da una banca europea, i suoi promotori devono supporre che nulla di più sia necessario. Ma questo potrebbe essere corretto solo se le economie moderne fossero sistemi capaci di autoregolarsi, che non abbiano bisogno di alcuna gestione.

Sono spinto alla conclusione che tale punto di vista – cioè che le economie sono organismi che si raddrizzano da soli e che non hanno in nessun caso necessità di una gestione – ha effettivamente determinano il modo in cui è stato costruito il trattato di Maastricht. Si tratta di una versione rozza ed estrema del punto di vista che da qualche tempo ha costituito la convinzione prevalente in Europa (anche se non quella degli Stati Uniti o del Giappone): che i governi non sono in grado di raggiungere uno qualsiasi dei tradizionali obiettivi di economia politica, come la crescita e la piena occupazione, e pertanto non dovrebbero neppure provarci.

Tutto ciò che può legittimamente essere fatto, secondo questa visione, è quello di controllare l’offerta di moneta e il pareggio del bilancio. E’ stato necessario un gruppo in gran parte composto da banchieri (il Comitato Delors) per giungere alla conclusione che una banca centrale indipendente è stata l’unica istituzione sovranazionale necessaria per gestire un’Europa integrata e sovranazionale.

Ma c’è molto di più. In primo luogo va sottolineato che la creazione di una moneta unica nella Comunità Europea dovrebbe porre fine alla sovranità delle sue nazioni componenti e alla loro autonomia di intervento sulle questioni di maggior interesse. Come l’onorevole Tim Congdon ha sostenuto in modo molto convincente, il potere di emettere la propria moneta, di fare movimentazioni sulla propria banca centrale, è la cosa principale che definisce l’indipendenza nazionale. Se un paese rinuncia o perde questo potere, acquisisce lo status di un ente locale o colonia. Le autorità locali e le regioni, ovviamente, non possono svalutare. Ma si perde anche il potere per finanziare il disavanzo attraverso la creazione di denaro, mentre altri metodi di ottenere finanziamenti sono soggetti a regolamentazione centrale. Né si possono modificare i tassi di interesse. Poiché le autorità locali non sono in possesso di nessuno degli strumenti di politica macroeconomica, la loro scelta politica si limita a questioni relativamente minori: un po’ più di istruzione qui, un po’ meno infrastrutture lì. Penso che quando Jacques Delors pone l’accento sul principio di ‘sussidiarietà’, in realtà ci sta solo dicendo che [gli stati membri dell’Unione europea] saranno autorizzati a prendere decisioni su un maggior numero di questioni relativamente poco importanti di quanto si possa aver precedentemente supposto. Forse ci lascerà tenere i cetrioli, dopo tutto. Che grande affare!

Permettetemi di esprimere una visione diversa. Penso che il governo centrale di uno Stato sovrano deve essere costantemente impegnato a determinare il livello ottimale complessivo dei servizi pubblici, l’onere fiscale complessivo corretto, la corretta allocazione della spesa totale tra bisogni concorrenti, nonché la giusta distribuzione del peso della tassazione. Esso deve anche determinare la misura in cui ogni divario tra spesa e imposte viene finanziato prelevando dalla banca centrale e quanto è finanziato mediante un prestito, e a quali condizioni. Il modo in cui i governi decidono su tutti questi (e alcuni altri) problemi, e la qualità della leadership che si possono dispiegare, determineranno, in interazione con le decisioni degli individui, delle aziende e degli stranieri, cose come i tassi di interesse, il tasso di cambio, il tasso di inflazione, il tasso di crescita e il tasso di disoccupazione. [Il comportamento del governo] inoltre influenzerà profondamente la distribuzione del reddito e della ricchezza non solo tra individui, ma tra intere regioni, assistendo, si spera, quelle colpite negativamente dai cambiamenti strutturali. […]

Elenco tutto questo non per suggerire che la sovranità non deve essere ceduta in nome della nobile causa dell’integrazione europea, ma che se i governi nazionali rinunciano a tutte queste funzioni esse devono semplicemente essere assunte da qualche altra autorità. La lacuna incredibile nel programma di Maastricht è che, mentre contiene un progetto per l’istituzione e il modus operandi di una banca centrale indipendente, non esiste un qualunque progetto analogo, in termini comunitari, di governo centrale. Semplicemente ci dovrebbe essere un sistema di istituzioni che soddisfi a livello comunitario tutte quelle funzioni che sono attualmente esercitate dai governi centrali dei singoli paesi membri.

La contropartita della rinuncia alla sovranità dovrebbe essere che le nazioni componenti vengono incorporate in una federazione a cui è affidata la loro sovranità. E il sistema federale, o stato, come è meglio chiamarlo, dovrebbe esercitare tutte quelle funzioni in relazione ai suoi membri e al mondo esterno, che ho brevemente sopra indicate.

Consideriamo due esempi importanti di ciò che uno stato federale, responsabile di un bilancio federale, dovrebbe fare.

I Paesi europei sono al momento bloccati in una grave recessione. Come stanno le cose, in particolare le economie di Stati Uniti e Giappone sono anch’esse vacillanti, è molto difficile dire quando un significativo recupero avrà luogo. Le implicazioni politiche di questo stanno diventando spaventose. Tuttavia, l’interdipendenza delle economie europee è già così grande che nessun singolo paese, con l’eccezione teorica della Germania, si sente in grado di perseguire politiche espansive per conto proprio, perché ogni paese che cercasse di espandere l’economia con le sue sole forze incontrerebbe presto un vincolo nella bilancia dei pagamenti. La situazione attuale grida ad alta voce l’esigenza di un rilancio coordinato, ma non esistono né le istituzioni né un quadro concordato di pensiero che porterà a questo risultato, ovviamente, desiderabile. Si deve francamente riconoscere che se la depressione dovesse davvero prendere una svolta seria per il peggio – ad esempio, se il tasso di disoccupazione tornasse al 20-25 per cento degli anni Trenta – i singoli paesi, prima o poi, eserciterebbero il loro diritto sovrano di dichiarare l’intero percorso verso l’integrazione un disastro, e ristabilirebbero dei controlli sui cambi e misure protezionistiche – un’economia da assedio se vogliamo chiamarla così. Ciò equivarrebbe a ripercorre il periodo tra le due guerre.

Se ci fosse una unione economica e monetaria, in cui il potere di agire in modo indipendente fosse effettivamente abolito, una reflazione ‘coordinata’ del genere, di cui si sente così urgente bisogno, potrebbe essere effettuata solo da un governo federale europeo. Senza una tale istituzione, l’Unione monetaria impedirebbe un’azione efficace da parte dei singoli paesi e metterebbe il nulla al suo posto.

Un altro ruolo importante che ogni governo centrale deve svolgere è quello di stendere una rete di sicurezza per il sostentamento delle regioni componenti che sono in difficoltà per ragioni strutturali – a causa del declino di alcune industrie, per esempio, o a causa di qualche cambiamento demografico negativo per l’economia. Attualmente questo accade nel corso naturale degli eventi, senza che nessuno se ne accorga, perché esistono standard comuni dei servizi pubblici (per esempio, la sanità, l’istruzione, le pensioni, i sussidi di disoccupazione) e un comune (si spera, progressivo) sistema di imposizione fiscale. Di conseguenza, se una regione soffre un insolito declino strutturale, il sistema fiscale genera automaticamente i trasferimenti netti in favore di essa. Come caso estremo, una regione che non producesse nulla non morirebbe di fame perché riceverebbe le pensioni, le indennità di disoccupazione e il reddito dei dipendenti pubblici.

Cosa succede se un intero paese – un potenziale ‘regione’ in una comunità pienamente integrata – subisce una battuta d’arresto strutturale? Finché si tratta di un Stato sovrano, può svalutare la propria moneta. Si può quindi operare con successo verso la piena occupazione se la gente accetta il taglio necessario dei redditi reali [cioè l’inflazione, ndr]. Con una unione economica e monetaria, questo ricorso è ovviamente escluso, e la sua prospettiva è davvero grave, salvo accordi su bilanci federali che svolgano un ruolo redistributivo. Come è stato chiaramente riconosciuto nella relazione MacDougall che è stato pubblicato nel 1977, ci deve essere uno scambio tra la rinuncia alla possibilità di svalutare e la redistribuzione fiscale. Alcuni autori (come Samuel Brittan e Sir Douglas Hague) hanno seriamente suggerito che l’Unione monetaria, abolendo la bilancia dei pagamenti nella sua forma attuale, abolirebbe il problema, dove esiste, di una persistente incapacità di competere con successo sui mercati mondiali. Ma, come il professor Martin Feldstein ha sottolineato in un articolo importante nel Economist (13 giugno), questo argomento è pericolosamente sbagliato. Se un paese o regione non ha il potere di svalutare, e se non è beneficiario di un sistema di perequazione fiscale, allora non c’è nulla che possa fermare un processo di declino cumulativo e terminale che conduce, alla fine, all’emigrazione come unica alternativa alla povertà o alla fame.

Simpatizzo con la posizione di coloro (come Margaret Thatcher) che, di fronte alla perdita di sovranità, desiderano scendere dal treno dell’Unione monetaria. Simpatizzo anche con coloro che cercano l’integrazione sotto la giurisdizione di una sorta di Costituzione federale, con un bilancio federale molto più grande di quello dell'[attuale] bilancio comunitario. Quello che trovo assolutamente sconcertante è la posizione di coloro che sono favorevoli all’unione economica e monetaria senza la creazione di nuove istituzioni politiche (a parte una nuova banca centrale), e che alzano le mani terrificati alle parole “federale” o “federalismo”. Questa è la posizione adottata oggi dal Governo e dalla maggior parte di coloro che prendono parte alla discussione pubblica.

 

Sintesi del Fiscal Compact

Sintesi del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell'unione economica e monetaria, meglio conosciuto come Fiscal Compact (Qui il testo integrale)  (Cretinismo Economico puro, anzi potrebbe rappresentare l'idea platonica del cretinismo economico):

- L'impegno ad avere bilanci pubblici «in equilibrio»,o meglio ancora positivi al netto del ciclo economico. Il deficit strutturale non deve superare lo 0,5% del Pil e, per i Paesi il cui debito è inferiore al 60% del Pil, l'1% ( esoterismo dei numeri magici in azione)

- Ogni Stato garantisce correzioni automatiche quando non raggiunge gli obiettivi di bilancio concordati ed è obbligato ad agire con scadenze determinate.

- La nuova regole devono essere inserite nella legislazione nazionale, preferibilmente in norme di tipo costituzionale. Dopo che alcuni Stati hanno evidenziato che questo avrebbe richiesto un referendum, è stato deciso di non rendere obbligatoria questa indicazione: bastano altri tipi di garanzie. (Chiaramente in Italia siamo stati più realisti del re ed abbiamo inserito nella Costituzione della repubblica Italiana la prescrittività del pareggio di bilancio)

- La Corte europea di giustizia verificherà che i Paesi che hanno adottato il trattato lo abbiano trasposto nelle leggi nazionali. In caso contrario, uno Stato può essere deferito alla Corte dagli altri e incorrere in una sanzione pari allo 0,1% del Pil. 

- Il deficit pubblico dovrà essere mantenuto al di sotto del 3% del Pil, come previsto dal Patto di stabilità e crescita, e in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche. (attenzione il re dei numeri magici il signor 3% , dicono che la sua origine sia ormai andata perduta nella notte dei tempi, fatto sta che nessuno sà perche 3 e non 3,5 o 4 o 2,7 o 1 , ma......?)

- Ci saranno almeno due vertici all'anno dei 17 leader dei Paesi che adottano l'euro, con gli altri Paesi invitati almeno a uno dei due.

- Il trattato intergovernativo entrerà in vigore quando sarà stato ratificato da almeno 12 dei Paesi interessati.

L'appello dei premi nobel contro il pareggio di bilancio

venga respinta qualunque proposta volta ad emendare la Costituzione degli Stati Uniti inserendo un vincolo in materia di pareggio del bilancio. Vero è che il Paese è alle prese con gravi problemi sul fronte dei conti pubblici, problemi che vanno affrontati con misure che comincino a dispiegare i loro effetti una volta che l'economia sia forte abbastanza da poterle assorbire, ma inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, cosa che avverrebbe nel caso fosse approvato un emendamento sul pareggio del bilancio, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose.

1. Un emendamento sul pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà economica diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Chiudere ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe le eventuali recessioni.

2. A differenza delle costituzioni di molti stati che consentono di ricorrere al credito per finanziare la spesa in conto capitale, il bilancio federale non prevede alcuna differenza tra investimenti e spesa corrente. Le aziende private e le famiglie ricorrono continuamente al credito per finanziare le loro spese. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio impedirebbe al governo federale di ricorrere al credito per finanziare il costo delle infrastrutture, dell'istruzione, della ricerca e sviluppo, della tutela dell'ambiente e di altri investimenti vitali per il futuro benessere della nazione.

3. Un emendamento che introducesse il vincolo del pareggio di bilancio incoraggerebbe il Congresso ad approvare provvedimenti privi di copertura finanziaria delegando gli stati, gli enti locali e le aziende private trovare le risorse finanziarie al posto del governo federale. Inoltre favorirebbe dubbie manovre finanziarie (quali la vendita di terreni demaniali e di altri beni pubblici contabilizzando i ricavi come introiti destinati alla riduzione del deficit) e altri espedienti contabili. Le controversie derivanti dall'interpretazione del concetto di pareggio di bilancio finirebbero probabilmente dinanzi ai tribunali con il risultato di affidare alla magistratura il compito di decidere la politica economica. E altrettanto si verificherebbe in caso di controversie riguardanti il modo in cui rimettere in equilibrio un bilancio dissestato nei casi in cui il Congresso non disponesse dei voti necessari per approvare tagli dolorosi.

4. Quasi sempre le proposte di introduzione per via costituzionale del vincolo di pareggio di bilancio prevedono delle scappatoie, ma in tempo di pace sono necessarie in entrambi i rami del Congresso maggioranze molto ampie per approvare un bilancio non in ordine o per innalzare il tetto del debito. Sono disposizioni che tendono a paralizzare l'attività dell'esecutivo.

5. Un tetto di spesa, previsto da alcune delle proposte di emendamento, limiterebbe ulteriormente la capacita' del Congresso di contrastare eventuali recessioni vuoi con gli ammortizzatori gia' previsti vuoi con apposite modifiche della politica in materia di bilancio. Anche nei periodi di espansione dell'economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perche' gli incrementi degli investimenti ad elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall'aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessita', in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza.

6. Per pareggiare il bilancio non è necessario un emendamento costituzionale. Il bilancio non solo si chiuse in pareggio, ma fece registrare un avanzo e una riduzione del debito per quattro anni consecutivi dopo l'approvazione da parte del Congresso negli anni '90 di alcuni provvedimenti che riducevano la crescita della spesa pubblica e incrementavano le entrate. Lo si fece con l'attuale Costituzione e senza modificarla e lo si può fare ancora. Nessun altro Paese importante ostacola la propria economia con il vincolo di pareggio di bilancio. Non c'è alcuna necessità di mettere al Paese una camicia di forza economica. Lasciamo che presidente e Congresso adottino le politiche monetarie, economiche e di bilancio idonee a far fronte ai bisogni e alle priorità, così come saggiamente previsto dai nostri padri costituenti.

7. Nell'attuale fase dell'economia è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole.

Firmato:

KENNETH ARROW, premio Nobel per l'economia 1972

PETER DIAMOND, premio Nobel per l'economia 2010

WILLIAM SHARPE, premio Nobel per l'economia 1990

CHARLES SCHULTZE, consigliere economico di J.F. Kennedy e Lindon Johnson, animatore della Great Society Agenda

ALAN BLINDER, direttore del Centro per le ricerche economiche della Princeton University

ERIC MASKIN, premio Nobel per l'economia 2007

ROBERT SOLOW, premio Nobel per l'economia 1987

LAURA TYSON, ex direttrice del National Economic Council

Fonte:KeynesBlog

I difetti dell’euro spiegati con 30 anni di anticipo da Nicholas Kaldor

Ecco quanto diceva nel 1971, quindi circa 30 anni prima della nascita  dell'euro, l'economista Nicholas Kaldor  in “The Dynamic Effects Of The Common Market” pubblicato su New Statesman il 12 marzo 1971 e anche in “Altri Saggi di Economia Applicata” – volume 6 (capitolo 12, pp 187 – 220)  della Raccolta di saggi economici di Nicholas Kaldor.

… Some day the nations of Europe may be ready to merge their national identities and create a new European Union – the United States of Europe. If and when they do, a European Government will take over all the functions which the Federal government now provides in the U.S., or in Canada or Australia. This will involve the creation of a “full economic and monetary union”. But it is a dangerous error to believe that monetary and economic union can precede a political union or that it will act (in the words of the Werner report) “as a leaven for the evolvement of a political union which in the long run it will in any case be unable to do without”. For if the creation of a monetary union and Community control over national budgets generates pressures which lead to a breakdown of the whole system it will prevent the development of a political union, not promote it.

Page 202:

The events of the last few years – necessitating a revaluation of the German mark and a devaluation of the French franc – have demonstrated that the Community is not viable with its present degree of economic integration. The system presupposes full currency convertibility and fixed exchange rates among the members, whilst leaving monetary and fiscal policy to the discretion of the individual member countries. Under this system, as events have shown, some countries will tend to acquire increasing (and unwanted surpluses) in their trade with other members, whist others face increasing deficits. This has two unwelcome effects. It transmits inflationary pressures emanating from some members to other members; and it causes the surplus countries to provide automatic finance on an increasing scale to the deficit countries.

Page 205:

This is another way of saying that the objective of a full monetary and economic union is unattainable without a political union; and the latter pre-supposes fiscal integration, and not just fiscal harmonisation. It requires the creation of a Community Government and Parliament which takes over the responsibility for at least the major part of the expenditure now provided by national governments and finances it by taxes raised at uniform rates throughout the Community. With an integrated system of this kind, the prosperous areas automatically subside the poorer areas; and the areas whose exports are declining obtain automatic relief by paying in less, and receiving more, from the central Exchequer. The cumulative tendencies to progress and decline are thus held in check by a “built-in” fiscal stabiliser which makes the “surplus” areas provide automatic fiscal aid to the “deficit” areas.

Page 206:

…What the Report fails to recognize is that the very existence of a central system of taxation and expenditure is a far more powerful instrument for dispensing “regional aid” than anything that special “financial intervention” to development areas is capable of providing.

The Community’s present plan on the other hand is like the house which “divided against itself cannot stand”. Monetary union and Community control over budgets will prevent a member country from pursuing full employment policies on its own- from taking steps to offset any sharp decline in the level of its production and employment, but without the benefit of a strong Community government which would shield its inhabitants from its worst consequences.

page 192:

Myrdal coined the phrase of “circular and cumulative causation” to explain why the pace of economic development of the various areas of the world does not tend to a state of even balance, but on the contrary, tends to crystallise in a limited number of fast-growing areas whose success has an inhibiting effect on the development of others. This tendency could not operate if changes in money wages were always such as to offset difference in the rates of productivity increase. This, however is not the case; for reasons that are not perhaps fully understood, the dispersion in the growth of money wages as between different industrial areas tends always to be considerably smaller than the dispersion in productivity movements. It is for this reason that within a common currency area, or under a system of convertible currencies with fixed exchange rates, relatively fast-growing areas tend to acquire a cumulative competitive advantage over relatively slow growing areas. “Efficiency wages” (money wages divided by productivity) will, in the natural course of events, tend to fall in the former, relatively to the latter – even when they tend to rise in both areas in absolute terms. Just because the differences in productivity increases, the comparative costs of production in fast-growing areas tend to fall in time relatively to those in slow-growing areas and thus enhance their competitive advantage over the latter.

 

 

L' economia primitiva di Mrs Thatcher

di Nicholas Kaldor. Discorso pronunciato il 18 marzo 1981 alla Camera dei Lord, tratto da “The Economic Consequences Of Mrs Thatcher”.

La convinzione che la spesa pubblica debba essere tagliata in modo da pareggiare il bilancio pubblico, la quale è chiaramente sostenuta con passione dalla signora Thatcher e dai suoi diretti collaboratori, deriva da una concezione antropomorfica dell’economia.
Le religioni primitive sono antropomorfe. Esse credono in dèi che ricordano gli esseri umani per condizioni fisiche e di carattere. L’economia della signora Thatcher è antropomorfa, in quanto crede di poter applicare all’economia nazionale gli stessi principi e regole di comportamento che sarebbero considerate opportune per un singolo individuo o una famiglia: pagare di tasca propria, tagliando le proprie spese in modo che si adattino ai propri guadagni, evitando di vivere oltre le proprie possibilità e di contrarre debiti. Si tratta di ben misurati principi di prudenza nei comportamenti per una persona, ma se applicati come ricette politiche per un’economia nazionale conducono ad assurdità.

Se un individuo taglia la propria spesa non dovrà ridurre il suo reddito. Tuttavia, se un governo taglia i proprio programma di spesa pubblica in relazione alle aliquote fiscali e alle tasse, ridurrà la spesa totale nell’economia e, quindi, la produzione totale e il reddito. Esso contribuirà a ridurre il gettito prodotto dalle imposte esistenti e causerà l’espansione della spesa pubblica per i sussidi di disoccupazione e per il sostegno delle imprese in difficoltà e per altri cose simili. Si tratta di una politica che è appropriata solo in tempi di eccesso di domanda e occupazione oltre il pieno impiego, come fu il caso dell’austerità del [Ministro delle Finanze] Cripps dopo la guerra. In un momento come quello odierno, con 2 milioni e mezzo di disoccupati, lungi dall’essere una ricetta della massaia prudente per la prosperità futura, è invece una ricetta per la rovina. Tagliare il bilancio pubblico, nella speranza di ‘far quadrare i conti’, ha come risultato quello di continuare a ridurre la produzione e il reddito della nazione e, quindi, non riuscire a far quadrare i conti mentre il gettito fiscale si restringe e crescono le spese per sostenere l’economia in disintegrazione.

Il vuoto delle idee

Perchè  non esiste più un pensiero alternativo, perchè la sinistra non esiste più?

perchè non ha più un identità, perchè, come è già stato detto, è la foto sbiadita della destra, quindi non dice più nulla di sinistra o meglio di alternativo, non ha più idee, ha paura di pensare qualcosa di diverso e tanto più di dirlo, siamo oltre, non c'è più ne pensiero, ne parola ne azione.

Si trascina stancamente regolarmente superata dagli eventi, dal susseguirsi di accadimenti che non è ne capace di interpretare ne tanto meno di governare.

Manca totalmente qualsiasi tipo di visione quindi si sta a rimorchio del "buon sensismo" della rassicurante  e vuota moderazione conformista, del cretinismo economico, sempre allineati e coperti ripetendo i concetti vuoti e obsoleti proponendo soluzioni temporanee per problemi strutturali.

Il punto è che i problemi strutturali neanche vengono posti, sono poco popolari, creano ansie e spaventano l'elettorato, meglio andare avanti seguendo la solita rotta che spaventare i passeggeri avvisandoli che davanti c'è un iceberg.

Quindi meglio andare avanti con i bonus, le detrazioni, gli incentivi e le varie elemosine ed aspirine economiche piuttosto che riconoscere che stiamo diventando un paese di disperati, di poveracci, di precari, di senza futuro e senza memoria; una generazione è persa, un fenomeno migratorio senza precedenti ci aggredisce trovandoci totalmente impreparati ed incapaci ad affrontarlo, i disastri ambientali e la distruzione sistematica del territorio e dell'ambiente in cui viviamo sono la prassi, una globalizzazione selvaggia e incontrollata sta distruggendo la società e qualsivoglia forma di diritto e principio di civile convivenza, nel frattempo ci si prodiga per il pareggio di bilancio,  si segue lo spread passo passo, ci si adopera per il fiscal compact ecc -- nella perpetuazione indefinita dello status quo.

Nulla di quanto fatto fino ad ora è messo mai seriamente in discussione, non ci sono alternative ma solo variazioni sul tema.

quindi va bene la moneta unica, va bene la crescita infinita, va bene una distribuzione dei redditi sempre più ineguale e destabilizzante, va bene una società minima ed uno stato inesistente, va bene una privatizzazione sempre più spinta di tutto e di qualsiasi risorsa, va bene un modello di sviluppo predatorio che crea migrazioni e disastri ambientali ....

d'altronde preoccuparsi di tali cose è da figli dei fiori o da idealisti senza piedi per terra, meglio affidarsi al buon sensismo e continuare come prima, come è sempre stato, ma con moderazione, con regole, autority, regulator nel rispetto della privacy, della par condicio e sopratutto del politically correct in cui tutti devono avere lo stesso tempo e la stessa opportunità per dire più o meno sempre la stessa cosa.